[Alla serata del 27 ottobre della jam session letteraria “Letteralmente Aperta” Carlo Callegari ha letto un brano tratto dal suo romanzo in uscita in formato digitale con LA CASE Production. Stiamo lavorando proprio in questi giorni agli ultimi dettagli ma già vi posso dire che il romanzo di Carlo è davvero uno spasso ed è con molto piacere quindi che vi presento in anteprima un estratto da “Che Dio ti aiuti, Bambola”]
“E’ una Sulky” risposi.
“Lo so anch’io che è una Sulky. Solo pensavo che ormai si fossero tutte estinte.”
“A quanto sembra qualcuna è sopravvissuta. Comunque, amico mio, quello è il nostro mezzo di trasporto per questa sera”.
“Cosa? Mi stai prendendo per il culo?” mi chiese sbalordito.
“No, credimi. E’ la persona che stavamo aspettando”.
“E noi dovremmo andare dai fratelli Makarovic con quel triciclo color merda?”
“A quanto pare sì”.
“Ma ti rendi conto di quello che stai dicendo? Che razza di professionisti siete?”
“Abbiamo un piano…”, azzardai.
“Me lo auguro. E poi, come ci stiamo in tre in una Sulky?”
“Non siamo proprio in tre. Direi piuttosto in due e mezzo.”
“Due e mezzo? E chi cazzo è il tuo socio? Un ragazzino di dodici anni o un uomo senza gambe?”
“Nessuna delle due, anche se la statura è più da uno di dieci”.
Silvano non aggiunse altro ed aspettò in silenzio che il catorcio si fermasse proprio affianco a noi.
Qualche secondo dopo la porta si aprì e con un balzo ed un sorriso beffardo, scese Tony.
“Ciao, pivelli!”
Io e Silvano rimanemmo entrambi a bocca aperta. Lui per lo stupore di rivedere il nano dopo molti anni, io per come si era conciato. Tony aprì le braccia radioso in direzione del Boa.
“Beh, Silvano. Non saluti il tuo amico Tony?”
“Beata Vergine. Tony! Amico mio, dopo tanti anni. Come fai a conoscere Carlito?”
Stretto nella morsa di quell’abbraccio infinito, il nano si spazientì subito.
“Ok, ok. Ma adesso smettila di abbracciarmi bestione. Non siamo mica due froci, almeno non io. Dai mollami, ho una reputazione da difendere”.
Le piccole mani di Tony cominciarono a pugnare la schiena del Boa fino a quando lui non mollò la presa.
“Ma cosa ci fai qui? Era dai tempi delle messe assieme che non ti vedevo!”
“Adesso basta,” sbottò il nano mettendo mano al calcio del cannone cromato. “Non è il momento delle lacrime, dei pompini e dei vecchi tempi. Saliamo in macchina e andiamo a fare il nostro lavoro”.
“Macchina?” lo stuzzicai io. “Non vedo nessuna macchina.”
“Maledetti pivelli ritardati. Volevate andare a fare una strage con una macchina presa a noleggio. Cosa avreste raccontato riconsegnandola piena di buchi di pistola? Che non vi eravate accorti che qualcuno vi aveva sparato? Invece nessuno può immaginare che la morte arrivi in Sulky! E adesso andiamo a distribuire un po’ di sani confetti di piombo”.
Il trabiccolo color merda di cane aveva la guida centrale a manubrio e, visto che io e Silvano occupavamo da soli l’intera lunghezza della panca del triciclo, il nano per guidare fu costretto a salire in braccio nostro.
“E fatemi un po’ di spazio, razza di impiastri! Maledetti pivelli!”
Il motore dopo qualche rantolo si riavviò ed dopo aver ingranato la prima il Sulky fece uno stanco balzo in avanti, quindí con fatica, molta fatica, si mosse.
Affrontare il cavalcavia della stazione fu quasi un’impresa. Fortuna volle che trovammo il semaforo verde in Piazza Mazzini. Quello ci consentì di lanciarci ad affrontare la salita a quasi cinquanta all’ora. A metà strada avevamo già perso quasi la totalità della spinta e, verso la cima, ci ritrovammo quasi immobili. Il nano scalò in prima ed affrontò gli ultimi metri con il motore fuori giri. L’interno dell’abitacolo sembrava la sala macchine del Titanic. Finalmente cominciò la discesa ed il nano ingranò la terza, cioè la marcia più alta. Prima scendemmo per inerzia, poi guadagnammo velocità. Entrammo nella curva che porta al quartiere Arcella come una meteora. Le piccole ruote del sulky non riuscirono a tenere la strada, così, un po’ per volta andammo alla deriva verso sinistra, invadendo la carreggiata opposta. Quando ci ritrovammo
quasi a baciare due anziani alla guida di una Panda che proveniva dalla parte opposta alla nostra, Tony non poté fare altro che allargare ancora la traiettoria, finendo quasi addosso al marciapiede.
Davanti a noi ci ritrovammo parecchie persone ferme in coda ad aspettare di entrare al cinema Astra per lo spettacolo di mezzanotte. Erano talmente tante che molte di loro erano state costrette a stare giù dal marciapiede. In un attimo si volatilizzarono tutte fra urla di terrore e bestemmie decisamente colorite.
Riuscii ad intravvedere il mezzo busto di una ragazza sfilare a pochi centimetri dal mio finestrino. Aveva gli occhi grandi come due piattini da caffè e la bocca simile a quella del celebre urlo di Munch. Fu solo un breve istante, poi non vidi altro.
Lentamente riuscimmo a riguadagnare la corsia di destra.
“Mi dispiace per i tuoi pantaloni Carlito” disse il Boa con voce simile ad un primo soprano della Scala di Milano. “Prima erano fumo di Londra, ora sono merda di Padova. Temo che li dovrai buttare”.
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