E a sera, dopo Novantesimo minuto, scenendere dal mio amichetto Giangi. Io e lui a giocare con il niente. A polentoni contro terroni, a Gringo della carne Montana contro l’uomo in ammollo, all’omino Bialetti contro Miguel e Carmenencita, a Brigate Rosse contro Ordinene Nuovo e alla fine tutti quanti contro la Juve (da Pablito mon amour, di Davide Golin).
Sono tanti i motivi per cui credo che Pablito mon amour di Davide Golin sia un libro bellissimo. Per prima cosa perché è scritto molto bene, con uno stile deliziosamente pop; poi perché il suo autore ha fatto un gran lavoro sulla lingua, mischiando le carte e riuscendo a trasmettere pagina dopo pagina un senso di freschezza meraviglioso; perché questo è un libro in cui si parla (anche) di calcio in maniera gioiosa, normale; perché tutto questo libro è una grande ricerca del tempo perduto a cavallo tra i ’70 e gli ’80 vista attraverso gli occhi di un bambino che diventa “grande” nella campagna veneta; perché ci sono passaggi che ti fanno crepare dal ridere; perché tutto è trattato con una leggerezza incredibile e poi, di colpo, vieni preso alla gola da pagine piene di vita, di emozioni, di sentimenti; perché non credeteci se vi raccontano che il calcio di oggi è il più bello del mondo: è un balla grande come una casa; perché quando hai chiuso l’ultima pagina ti verrebbe voglia di ricominciare e, soprattutto, ti domandi come mai l’autore si sia fermato lì quando tu avresti voluto sapere cosa succedeva dopo; perché (quasi) tutti noi maschi italiani lì abbiamo avuto un nostro Paolo Rossi; perché questa romanzo è una storia privata che però racconta pezzetti di vita e ricordi che credevamo essere solo nostri.
Non ho più voglia di scrivere perché e per cosa: leggete Pablito mon amour per il semplice fatto che è un libro bellissimo. E di questi giorni, ve l’assicuro, è cosa rara.
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