Sognavo di essere Bukowski, citazioni

Sognavo di essere Bukowski, di Gino Armuzzi, LA CASE Books (2014), euro 3.99 – Citazioni

Sognavo di essere Bukowski, di Gino Armuzzi, LA CASE Books (2014), euro 3.99 – Citazioni:

Sognavo di essere Bukowski: il cult sugli anni '80 torna in ebook
Sognavo di essere Bukowski: il cult sugli anni ’80 torna in ebook

[…] Come potete avere capito da questa mia introduzione, il vostro si trovava intorno ai vent’anni in una situazione ottimale: soldi, macchina, amici, bella vita e una fidanzata modello Jessica Rabbit. A parte qualche sfortunato e casuale rendez-vous con Natale vivevo un momento di quiete autocelebrativa. Quella stessa quiete che si genera nell’aria in certe isole tropicali, soltanto pochi istanti prima dell’arrivo di un ciclone. […] 

[…] L’amore, come potrete intuire, era un concetto molto distante, mentre il sesso aveva nelle nostre teste la presenza continua e ossessiva di un martello pneumatico. Fino a quel momento di donne ne avevo avute anche parecchie; per lo più non belle, spesso anche brutte ma inequivocabilmente troie. Dì altronde le sceglievo apposta. […] 

[…] Ma poi tornavo in libreria a cercare i libri di Bukowski e degli altri maledetti. In poco tempo mi ero fatto una piccola ma selezionata biblioteca di tutti gli scrittori negativi.
C’erano gli alcolizzati come Kerouac, gli alcolizzati ed erotomani come Bukowski e Miller, i suicidi come Papa Hemingway, i froci come Gide, Wilde e Cocteau, i froci-drogati e comunisti come Ginsberg, i froci-drogati-comunisti e uxoricidi come Burroughs, i froci-pazzi-malavitosi-prostituti e comunisti come Genet, gli oppiomani come De Quincey e Baudelaire, i nazisti come Evola e Celine, i nazisti e suicidi come Mishima, i nazisti-eroinomani e suicidi come La Rochelle, i negri e comunisti come Baldwin, i comunisti e froci come Pasolini, le ninfomani come Anaïs Nin, i pazzi come Artaud, i pazzi e sifilitici come Nietzche, i pedofili come Carrol e via continuando in una fantastica sarabanda, in un infernale hocus pocus del diverso e del mostruoso.
Non ce n’era uno normale: per essere ammessi nella mia biblioteca non bastava essere negri, ma bisognava almeno aver violentato una bambina. Bianca, ovviamente. […] 

[…] Quando una sera, davanti a una Ceres appoggiata al balcone di Oreste, lei mi disse: «Ho bisogno di stare un po’ da sola», stava già con lui da un paio di settimane. E questo, anche se allora ancora non lo sapevo, potevo già darlo per certo. Perché delle poche cose che ho imparato nella vita, questa è sicuramente una: che ‘sta razza di troie non possono, non sanno e non vogliono star da sole nemmeno un fottuto giorno. […] 

[…] Una sera mi disse: «Ti porto a vedere una cosa». Andammo in un posto che adesso non esiste più; si chiamava Punto Rosso, un covo di brigatisti ed extraparlamentari in zona Città Studi. Entrammo e lì, in fondo al locale, vidi un enorme poster di Bukowski.
Nella foto il mitico Buko stava vicino a un frigorifero con la grande pancia di fuori e una bottiglia in mano. Accanto a lui una sua terribile amica, ubriaca, brutta, stracciata, sciamannata. L’insieme era un fantastico inno alla volgarità della vita. Per festeggiare quella scoperta ci ubriacammo e andammo in giro per Milano a cantare e a fare danni. […] 

[…] Ma quelli erano ancora i tempi in cui ero io a volere questo stato di cose. Padrone della mia rovina, gioivo della caduta a rotta di collo verso tutto ciò che è male. Volevo vivere come Miller, morire come Mishima e uccidere come Burgoughs.
E sognavo di essere Bukowski, buttato qua e là tra i bordelli di Los Angeles, con un bicchiere di whisky in mano e una troia accanto.
Beh, non c’è che dire, stavo andando benone; forse li avrei anche superati. Ma a che sarebbe servito? Come facevo a non capire che Bukowski era Bukowski solo perché sapeva essere un grande scrittore? E che se non avesse sfornato quelle poesie e quei racconti non sarebbe stato diverso da uno dei diecimila barboni affetti dall’epilessia e dal morbo di Parkinson che vagano con i carrelli del super pieni di lattine vuote per le strade della California?
Io non avevo ancora capito. Le cose continuarono a peggiorare. […]

[…] Tirai fuori dalla pila di dischi il vecchio Transformer di Lou Reed e lo misi sul piatto. Per il resto pomeriggio ci stravaccammo sul divano del Jango a sentir musica, a bere e a parlare di donne. Erano ancora i primi tempi. I migliori. […] 

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