Unabomber, il terrore senza volto. Viaggio nell’incubo. E se Unabomber si fosse fermato soltanto per alleggerire la pressione intorno a sé?
Domenica 21 agosto 1994. Sacile, provincia di Pordenone. La signora Daniela Pasquali sta visitando con i suoi due figli la “Sagra degli Osei”. Camminando tra le bancarelle scorge in terra uno strano tubo di metallo.
Senza pensarci troppo lo raccoglie e l’ordigno, una bomba artigianale piena di biglie, le esplode tra le mani. Fortunatamente lei e i suoi figli riportano solo danni lievi e ferite guaribili in pochi giorni.
Tutti pensano ad uno scherzo di cattivo gusto, ma ben presto dovranno ricredersi. Quella domenica di fine agosto infatti segna l’inizio di un incubo per gli abitanti del Veneto e del Friuli Venezia Giulia. Un incubo chiamato Unabomber.
Tra i tanti misteri che hanno tenuto in ostaggio l’Italia quello di Unabomber è uno dei più inquietanti: siamo di fronte ad una vicenda che mischia agghiaccianti azioni criminali, clamorosi errori investigativi e, per alcuni, anche sinistri messaggi in codice.
Il dinamitardo soprannominato Unabomber infatti ha seminato il panico tra Veneto e Friuli Venezia Giulia in piena libertà e senza lasciare tracce per anni. Mai un passo falso per questo questo folle criminale che ha tenuto in scacco la polizia.
Al primo ordigno esploso a Sacile nel 1994 sono seguiti quelli di Pordenone, Aviano, Azzano Decimo, Pordenone, Lignano Sabbiadoro, San Stino di Livenza, Treviso… una spirale di terrore infinita che in 12 anni ha prodotto 32 attentati.
Dopo i primi casi la stampa e l’opinione pubblica capiscono che lì fuori c’è un pazzo e le forze dell’ordine, che in un primo tempo hanno sottovalutato il problema, si muovono. Nella popolazione cresce il panico dato che Unabomber colpisce senza strategia: bambini che giocavano, casalinghe che facevano la spesa, bagnanti in spiaggia, fedeli in chiesa… queste sono state le sue vittime. Persone indifese, colpevoli soltanto di essersi trovate nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Gli investigatori brancolano nel buio: Theodore Kaczynski, l’Unabomber americano da cui il criminale del Nord Est ha preso il nome, agiva secondo i canoni che i profiler dell’FBI avevano tracciato per criminali di questo tipo; l’Unabomber del Nord Est invece sembra non avere nessuna finalità se non quella di seminare il terrore.
Viene creata una squadra speciale “anti Unabomber” e, dopo l’analisi accurata e maniacale di centinaia di prove e di indizi, spunta il nome di Elvo Zornitta, un ingegnere aeronautico che vive in provincia di Pordenone. Per l’ingegnere di Azzano Decimo comincia un calvario giudiziario che si concluderà soltanto il 2 marzo del 2009 quando il GIP di Trieste archivierà la sua posizione.
E durante l’affaire Zornitta la procura viene travolta da uno scandalo: Ezio Zernar, uno dei periti dell’accusa, manometteo una prova per incastrare l’incolpevole ingegnere. Un’onta che macchia irrimediabilmente tutta l’indagine e che alimenta ulteriori sospetti e dietrologie su tutta questa brutta storia.
Sono passati 6 anni dall’ultima volta che Unabomber ha colpito, nel maggio del 2006. Secondo tutti i profiler un soggetto di questo tipo non interrompe mai volontariamente le sue azioni criminali: si ferma solo perché non può più colpire. La speranza di tutti è che non ricompaia mai più e che resti solo un brutto ricordo, un incubo di cui qui a Nord Est ci vogliamo dimenticare.
Ma se Unabomber si fosse fermato soltanto per alleggerire la pressione intorno a sé? Forse in questo momento si trova seduto nel suo laboratorio, concentrato nella preparazione dell’ennesimo ordigno che, colpendo tutti di sorpresa, ci farà ripiombare nell’incubo.
(questo articolo è stato pubblicato originariamente nella rivista Veneto & Veneti nel luglio 2012).
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