La storia di Ludwig è a modo suo un unicum nel panorama dei Misteri Italiani. A livello giudiziario questo è un caso risolto: per la legge italiana ci sono due colpevoli. Un caso chiuso insomma, un caso di cui sappiamo tutto… forse, perché in realtà a tutt’oggi uno dei condannati si dichiara estraneo ai fatti e non perde occasione per dichiarare la sua innocenza alla stampa ed alla televisione. Ma chi o che cosa si celava dietro alla sigla Ludwig?
Gli omicidi e le azioni criminali ascritte a Ludwig coprono un arco di tempo che va dal 1977 al 1984. Sette anni in cui si contano 15 morti e numerosi feriti, soprattutto in Veneto. Coltelli, asce, martelli e fuoco le armi preferite. Gli obiettivi sono i “diversi”, o meglio tutti quelli che non sono degni di vivere secondo una farneticante filosofia neonazista a cui il gruppo sembra aderire.
Sotto i colpi mortali di Ludwig cadranno così senzatetto, prostitute, frequentatori di cinema a luci rosse e drogati, ma anche religiosi di diversi ordini. Agli occhi del gruppo sono tutti accomunati dal fatto di appartenere ad una razza inferiore e per questo non meritano di vivere. Dopo gli omicidi arrivano puntuali le rivendicazioni spedite ai giornali e all’Ansa. La più celebre recita: “la Nostra fede è nazismo, la nostra giustizia è morte, la nostra democrazia è sterminio”.
La polizia prova ad indagare nell’ambiente dell’eversione di destra che in quegli anni nel Veneto aveva una delle sue roccaforti ma non emerge nulla. L’organizzazione non sembra avere nessun progetto politico concreto e non sembra riconoscersi nell’area della destra extraparlamentare. Si firma Ludwig ma ancora oggi non sappiamo a che cosa si riferisca di preciso questo nome.
Alla fine verranno catturati due ragazzi, Wolfgang Abel e Marco Furlan, mentre cercano di incendiare con due taniche di benzina la discoteca Melamara di Castiglione delle Stiviere. Sarà soprattutto il rinvenimento di alcune minute delle rivendicazioni trovate in casa dei sospetti a far maturare negli inquirenti la certezza di aver messo le mani sul famigerato gruppo Ludwig.
Ma chi sono Abel e Furlan? Sono due ragazzi della cosiddetta “Verona bene”, benestanti e senza grossi problemi, come del resto lo erano anche i tre “bravi ragazzi” del massacro del Circeo. Rispetto ai tre romani però Abel e Furlan sono due persone con un’intelligenza di molto al di sopra della media: all’università infatti andavano avanti a suon di 30 e lode in Matematica e Fisica. I due indaganti si dichiarano estranei ai fatti: volevano dare fuoco alla discoteca Melamara, questo si, ma si trattava soltanto di una “ragazzata”. Loro con Ludwing non hanno nulla a che vedere, ma nessuno gli crede: troppo importanti le prove a loro carico, troppo evidenti gli indizi che li inchiodano.
Caso chiuso… forse, perché in realtà restano ancora oggi delle zone grigie mai chiarite del tutto. Per prima cosa ci sono le testimonianze di quanti si trovano nelle zone dei delitti e che parlano di persone dalle fisionomie molto diverse da quelle di Abel e Furlan ma, soprattutto, in alcuni casi parlano di gruppi di più di due persone. Poi c’è un ultimo inquietante dettaglio: secondo la versione ufficiale Furlan ed Abel avrebbero lasciato la loro Vespa a Carpenedolo ed avrebbero percorso il tratto di strada fino alla discoteca a piedi con le due taniche di benzina, ben 7 chilometri di strada statale. Un’enormità, soprattutto se le cose fossero finire male e ci fosse stato bisogno di scappare. Un piano troppo stupido perfino per un criminale occasionale, figuriamoci per dei criminali incalliti, metodici e razionali come quelli di Ludwig. Qualcosa non torna.
C’è forse qualcuno che li ha trasportati in macchina da Carpenedolo a Castiglione delle Stiviere e non ha mai pagato per i suoi delitti? Si tratta forse di quella persona dalle fattezze diverse che in molti testimoni giurano di aver visto in diversi luoghi dei delitti? Una cosa però è certa: dopo l’arresto di Abel e Furlan Ludwig non ha più colpito.
Per saperne di più: Il caso Ludwig: follia neonazista a Nordest, di Jacopo Pezzan e Giacomo Brunoro (2011, LA CASE Books).
Rispondi