“Savana Padana” ti fa lo stesso effetto di un bicchiere di grappa bevuto tutto d’un fiato dopo una bella cena con gli amici sui colli Euganei, quelle cene in cui ti sfondi di bigoli in salsa, pollo fritto, polenta e fasoi e sioe. E sto parlando del primo bicchiere di grappa della serata, quello che va giù che è un piacere ma che allo stesso tempo ti brucia un po’ in gola. Però fa niente, con il primo bicchiere è sempre così. Poi passa e te ne sbatti.
La trama del romanzo, o racconto lungo che dir si voglia, di Matteo Righetto è figlia di un Joe Lansdale ubriaco di grintòn, e deve molto anche al Guy Ritchie dei suoi primi due (bellissimi) film: una banda di zingari, quattro scalcagnati cazzoni della mala del Brenta al seguito di un boss da antologia, un carabiniere rigorosamente teròn che va dove non dovrebbe andare, un mafioso Cinese detto “il Tigre” e una statua di Sant’Antonio che sparisce poco prima del 13 giugno, proprio quando l’afa umida e tignosa della Pianura Padana si fa insopportabile. Il tutto in attesa di un temporale da iradiddio.
Rispondi