IMPERIUM, Ryszard Kapuscinksi (traduzione di Vera Verdiani, Feltrinelli, 2007). Citazioni.

IMPERIUM, citazioni

IMPERIUM, Ryszard Kapuscinksi (traduzione di Vera Verdiani, Feltrinelli, 2007). Citazioni.

“[…] Intorno a me c’è il vuoto, la terra bruciata, il muro. Ovvio: sono straniero. Lo straniero suscita sentimenti contrastanti: di curiosità (da reprimere!), di invidia (lo straniera sta sempre meglio, basta vedere com’è vestito), ma soprattutto di paura. Uno dei pilastri su cui poggia il sistema consiste nell’isolamento dal mondo, e lo straniero, per il solo fatto di esistere, lo scalza. Per contatti con stranieri Stalin condannava a cinque, a dieci anni di lager, spesso e volentieri alla fucilazioni: non c’è da stupirsi che la gente tema gli stranieri come la peste […]“.

“[…] Oggi espandersi è difficile e rischioso, di solito chi si allarga finisce con il restringersi, così i popoli devono compensare l’istinto di espansione con il senso di profondità: devono cioè attingere nel profondo della storia per provare la propria forza e il proprio significato. Ecco la situazione di tutte le piccole nazioni cui è cara la pace […]“.

“[…] Sa che quando il caldo è torrido bisogna indossare vestiti pesanti, palandrana e berretto di montone, non spogliarsi nudi come fanno i bianchi. L’uomo vestito pensa, quello spogliato no. Un uomo nudo può commettere qualunque sciocchezza. Coloro che crearono grandi opere erano sempre vestiti. In Sumeria e in Mesopotamia, a Samarcanda e Baghdad, la gente girava vestita malgrado la calura infernale. Vi sorsero grandi civiltà, ignote all’Australia o all’Equatore africano, dove nel sole si stava nudi. Basta leggere la storia del mondo per convincersene […]“.

“[…] Certuni pensano che l’uomo andasse nel deserto per miseria, perché non aveva altro scampo. È esattamente il contrario. In Turkestan nel deserto ci potevano andare solo coloro che possedevano le greggi, dunque i più ricchi: il nomadismo era privilegio degli abbienti. “Il soggiorno nel deserto”, dice il professor Gabriel, “è un onore, si tratta di un terreno eletto”. Per un nomae il passaggio alla vita stanziale è sempre stata l’ultima scelta, una specie di sconfitta esistenziale, una degradazione. Un nomade lo si rende stanziale soltanto con la forza, con la costrizione economica o politica. Non esiste prezzo per la libertà che gli dà il deserto […]“.

“[…] Quella del democratico occidentale e del democratico moscovita sono due mentalità completamente diverse. La mente del democratico occidentale spazia liberamente tra i problemi del mondo contemporaneo, riflette su come vivere al meglio ed essere felici, su come costringere la tecnica moderna a servire l’uomo in modo più efficiente e su come ottenere che ognuno di noi produca sempre più materiali e valori morali. Tutte questioni che si trovano oltre il campo visivo del democratico moscovita. A lui interessa una cosa sola: come abbattere il comunismo […]“.

“[…] Dopo settantatré anni di bolscevismo, la gente non sa più cosa sia la libertà di pensiero e la sostituisce con la libertà di azione. E qui la libertà di azione significa libertà di uccidere. Ecco spiegata in due parole tutta la perestrojka, tutto il nuovo pensiero […]“.

“[…] I criminali comuni che fuggivano dai lager convincevano spesso qualche prigioniero politico, ingenuo e non informato, a seguirli. Si garantivano contro il rischio di morire di fame. A un certo punto uccidevano la vittima e si spartivano la preda […]“.

“[…] Il lager era una struttura ideata con sadismo e al tempo stesso esattezza matematica per distruggere e annientare l’essere umano, sottoponendolo, prima della morte, alle peggiori umiliazioni, sofferenze e torture. Una rete spinata di sterminio dalla quale, una volta che ci si cadeva dentro, era impossibile districarsi. Eccone i principali elementi. Il freddo. Coperto di cenci miseri e leggeri, il condannato aveva sempre freddo, era sempre gelato. La fame. Il freddo veniva avvertito tanto più acutamente in quanto il prigioniero era perennamente, bestialmente, ossessivamente affamato, disponendo come unico cibo di un tozzo di pane e un po’ d’acqua. Il lavoro forzato. Intrizito e affamato, il condannato veniva sottoposto a un lavoro bestiale e superiore alle sue forze: scavare, trasportare la terra con la carriola, spaccare pietre, tagliare boschi. La mancanza di sonno. Quest’essere assiderato, affamato, sfibrato dal lavoro e perlopiù malato, veniva privato anche del sonno. Poteva dormire solo poche ore su un letto d’assi, dentro baracche gelide, con addosso gli stessi stracci su cui lavorava. Lo sporco. Lavarsi era proibito, del resto non ce ne sarebbe stato né il tempo né il luogo. Coperti da una crosta appiccicosa di sporcizia e sudore, i prigionieri emanavano un fetore insopportabile. Gli insetti. Notte e giorno si era divorati dai parassiti. Gli stracci indossati erano nidi di pidocchi, le brande delle baracche che pullulavano di cimici. Durante l’estate si era assaliti da sciami di zanzare e dai terribili moscerini siberiani, che a nugoli interi si avventavano addosso ai malcapitati. Il sadismo dell’KNVD. Guardie di scorta e carcerieri, ossia il sistema di sorveglianza dell’NKVD, infierivano senza sosta sul prigioniero urlando, prendendolo a pugni in faccia, a calci, aizzandogli contro i cani e fucilandolo per un nonnulla. Il terrore dei criminali comuni. I prigionieri politici venivano sistematicamente terrorizzati, derubati, seviziati dai delinquenti comuni che detenevano il gradino inferiore del potere. La consapevolezza del torto subito. Ache il sopportare la sensazione di profonda ingiustizia diveniva di per sé una tortura psichica. I prigionieri politici erano assolutamente innocenti, non avevano fatto nulla di male. La nostalgia e la paura. Soffrivano tutti per la nostalgia di casa e dei loro cari (le sentenze comminavano anche venticinque anni), per la sensazione di essere tagliati fuori dal mondo, per il timore di un domani sconosciuto e sempre più terribile, per l’incubo che ogni nuovo giorno fosse l’ultimo […]”.

[parlando del Nagorno Karabach] Il fatto di stare lontani da Roma e da PArigi – dice un uomo anziano all’altro capo del tavolo – non significa che non facciamo parte dell’Europa cristiana: anzi, siamo proprio la sua estremità finale. Basta guardare la carte geografica – spiega. – A Occidente l’Europa termina netta con una riva, oltre la quale si stende l’Atlantico. Ma a Oriente la faccenda si complica: qui l’Europa si sfrangia, si frantuma, si disgrega. Occorre stabilire un criterio. Un criterio che, secondo me, in questo caso deve essere di tipo non geografico ma culturale. L’Europa arriva fin dove vivono seguaci dell’ideale cristiano e noi armeni ne siamo gli esponenti sud-orientali più avanzati […]“.

“[…] Tre sono i flagelli che minacciano il mondo. Primo, la piaga del nazionalismo. Secondo, la piaga del razzismo. Terzo, la piaga del fondamentalismo religioso. Tre pesti unite dalla stessa caratteristica, dallo stesso comune denominatore: la più totale, aggressiva e onnipotente irrazionalità […]“.

“[…] Dato che le direttive di Mosca suonavano (e suonano tuttora) “sempre più cotone”, in Uzbekistan sono progressivamente aumentate le zone di coltivazione e la quantità d’acqua necessaria a irrigarle. Mai che a nessuno sia passato per la testa di ricorrere alla tecnologia, di introdurre drenaggi, tubazioni, condotti o altri espedienti del genere. Si prendeva l’acqua dai fiumi e la si faceva scorrere giù per i campi. Ma prima di arrivare alle zone del cotone, un terzo si era già perso per strada, prosciugato senza frutto dalla sabbia. È noto che a dieci, venti metri sotto a ogni deserto si trovano giacimenti di sale solido. Con l’umidità dell’acqua, il sale comincia a salire in superficie. È quello che accade adesso in Uzbekistan. Il sale pressato, profondamente sepolto sotto terra, si è diretto in superficie, ha cominciato a liberarsi. La terra dorata dell’Uzbekistan, già coperta dal bianco cotone, adesso si imbianca di una lucida crosta di sale […] Negli ultimi vent’anni il Mare d’Aral, che da Mujnak neanche si vede, ha perso un terzo della sua superficie e due terzi di capacità […] I deserti, versione recente di quello che era il suo fondale, raggiungono ormai tre milioni id ettari. Da questi deserti, venti e tempeste di sabbia spargono annualmente nello spazio settantacinque milioni di tonnellate di sale e di veleni provenienti da concimi chimici, trasportati qui a suo tempo dai fiumi […]“.

“[…] Il medesimo processo di espanzione del Terzo Mondo, che aveva causato il crollo degli imperi coloniali inglese, francese e portoghese, si faceva sentire anche all’interno dell’ultimo impero coloniale del mondo, l’URSS. Alla fine degli anni ottanta la popolazione non russa di questo Impero ammontava a circa la metà della sua popolazione, mentre l’élite al potere era composta al 95% da russi o da rappresentanti russificati delle minoranze etniche. Ormai era solo questione di tempo: si trattava di aspettare che la consapevolezza di questo fatto si trasformasse, per le minoranze in questione, in un segnale di via libera all’emancipazione […]“.

“[…] Malgrado tali difficoltà, è probabile che sulla scena della vita russa si affermino tre processi. Il primo sarà la lotta tra le forze dell’integrazione e quelle della disintegrazione. È la questione del nazionalismo. I russi vorranno mantenere uno stato grande e forte, una potenza imperiale, mentre le varie minoranze non russe potrebbero perseguire sempre più apertamente le proprie aspirazioni di autonomia. Tali minoranze formano attualmente solo il 20% della popolazione nella Federazione Russa (dove l’80% sono russi e ammontano a 120 miloni), ma la popolazione non russa cresce cinque volte più in fretta di quella russa, il che significa che la percentuale dei russi appare destinata a calare rapidamente. Contemporaneamente si restringe anche la sfera della lingua russa. Nell’ambito dell’URSS la gente sempre meno parla russo e sempre più raramente lo studia. In vari luoghi ho fatto difficoltà a farmi capire, nel corso del mio viaggio, parlando il russo, soprattutto se si trattava di giovani. Gli anziani lo conoscono bene, i giovani meno, i bambini piccoli per niente. (Ancora sui russi: oltre le frontiere della Federazione Russa abitano 26 milioni di russi. Il loro futuro appare incerto e confuso. Vivono soprattutto nell’Ucraina e in Kazhakistan). Il processo di “asiatizzazione della Federazione Russa, causato dal rapido incremento demografico della popolazione non russa, viene uleriormente accelerato dall’emigrazione dei tedeschi e, sopratutto dall’ingente emigrazione degli ebrei. […] Le frontiere nell’ambito dell’ex URSS oggi possono essere considerate vere e proprie bombe a orologeria […] Altro potenziale spunto di conflitto, lo scontro fra cristianesimo e Islam. L’Islam prolifera con vigore, è la religione dei popoli che parlano lingue turche e che ammontano, sul territorio dell’ex URSS, a circa 60 milioni […]“.

“[…] Un’ultima cosa: l’Occidente, affascinato ma anche spaventato dalla Russia, è sempre pronto a venirle in aiuto, se non altro per assicurarsi la pace. L’Occidente può anche dire di no a tutti, ma alla Russia dice sempre di sì […] .

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