Una giornata al mare a Sottomarina

La settimana scorsa ho passato una giornata di mare a Sottomarina, la così detta spiaggia dei padovani. Ai bagni Castello Bianco c’era molta gente, per lo più anziani o coppie con bambini. Un posto tranquillo, uno di quelli in cui ha la certezza di trovare le classi medio basse della società. Gente popolare insomma, gente normale.

A fianco a noi due coppie che hanno passato la giornata a chiacchierare sotto l’ombrellone, una aveva superato i 60 e una i 50. Arrivato il fatidico orario del pranzo, da bravi veneti, hanno legato un telo tra i due ombrelloni dando vita al mitico tendalino da mare, hanno usato una sdraio come tavolino e altre due sdraio come panche. Dopo di che hanno aperto le loro due borse frigo imperiali e hanno iniziato a mangiare di tutto. Scene normali in Veneto ma anche in tantissimi altre spiagge popolari di tutta Italia.

I quattro signori come dicevo hanno chiacchierato per tutta la giornata di tasse, dei negri che ormai sono dappertutto, i cinesi che lascia perdere, la pensione, gli acciacchi, tizio e caio che sono morti (“ah non lo sapevi?”) le olimpiadi… Mentre mangiavano arriva un venditore di orologi tarocchi, a occhio e croce direi indiano: non comprano nulla ma, prima che questo possa aprire bocca, lo obbligano a sedersi a mangiare con loro.

Il ragazzo un po’ imbarazzato accetta e si sbafa un pranzo luculliano (non potete immaginare cosa non usciva da quelle borse frigo…). Alla fine gli danno anche un paio di scatolette di tonno e una lattina di birra “metti che dopo ti viene fame”.Il ragazzo se ne va con un sorriso a 64 denti stampato sul volto e riprende a macinare kilometri lungo la spiaggia sotto una candela impressionanate.

Uno spaccato di umanità e di vita che rappresenta al meglio il tessuto umano di questa incredibile regione che è il Veneto: razzista a parole, straordinariamente accogliente e solidale nei fatti. Gente semplice che vive sulla sua pelle tutte le contraddizioni di questa società apparentemente indecifrabile per chi è cresciuto in un mondo che ormai non esiste più e che affronta la vita con serena tranquillità.

Una regione in cui la gente è abituata a fare, in cui le chiacchiere stanno a zero e che se c’è da dare una mano non perde troppo tempo a pensarci sù, non c’è tempo per guardare al colore della pelle o ad altre cazzate di cui non importa davvero a nessuno: si fa e basta. Dubito che a Capalbio avrei assistito ad una scena del genere, ma forse perché a Capalbio non ci sono mai stato.

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