Il Corriere del Veneto dedica oggi la mezza pagina di apertura della sezione cultura a “La ragazza che non voleva essere trovata” (Gruppo Editoriale Albatros), il romanzo di esordio del giovane Paco Ruzzante.
Il virgolettato del titolo è preso dall’articolo in cui si spiega appunto che il giovane Paco, che è il figlio dell’ex parlamentare Piero Ruzzante che attualmente è consigliere regionale e segretario padovano del Pd, si definisce «un ragazzo che lavora per pagarsi gli studi all’Università». L’introduzione del libro è di Walter Veltroni. Ciliegina sulla torta: c‘è del noir nel finale, drammatico…
Mi viene il vomito. Possibile che restiamo sempre l’Italia di Fantozzi? Possibile che non conti davvero un cazzo scrivere un buon libro (quello di Ruzzante magari è un capolavoro, non lo so perché non l’ho letto ma non è questo che mi interessa)? La sensazione, netta e bruciante, è che l’unica cosa importante è essere figlio di un qualche cardinale o di un potente locale: perché è di questo che stiamo parlando.
Ma fin qui tutto bene, mando giù la solita cucchiaiata di merda perché si sa che funziona così. Quello che però non riesco a capire è perché a 22 anni uno si senta già in dovere di doversi giustificare dicendo che è un ragazzo che lavora per pagarsi gli studi all’Università? Qualcuno sa spiegarmi di cosa diavolo stiamo parlando?
E poi devo sentirmi dire da Veltroni che questo libro «è un’opportunità per capire qualcosa di più di un’intera generazione»? Quando sento parlare di giovani citando chat, spritz e vita universitaria mi viene voglia di mettere mano alla fondina.
Io credo che per capire un’intera generazione (che per inciso non ho idea di quale possa essere) sia molto più utile leggere anche una sola riga pubblicata su Sugarpulp, se vogliamo parlare di letteratura o di cose che le possono minimamente assomigliare. Poi magari sono io che mi sbaglio, che ne so…
Rispondi